Palermo è una relazione complicata, di abbandoni e ritorni. Di litigi furiosi e lunghe notti di silenzi, di carne e pelle intrecciata, immobile. É una menzogna velata da sguardi languidi, umidi. Una verità potente gridata in mezzo alla via. E’ la storia personale e intima di un uomo qualunque. É la sua vita straordinaria, fatta di oggetti anonimi, insignificanti e perfetti. E’ la sua mastodontica pazienza, profusa per costruire la sua opera più importante, per avvitare in tutta una vita milioni di minuscole viti.
Palermo è soprattutto un luogo interno, una visione delle cose, un gusto. Pungente, un po’ amaro a volte, tremendamente dolce altre. Attraversare la città, fendere il suo cuore, significa essere travolti da un vento improvviso e fortissimo che trasporta e scaraventa via urla e voci, che ti butta addosso oggetti, colori, cibo e odori, tutti insieme. In quell’improvviso vortice di tutto e di niente i sensi si colmano fino al limite di sensazioni indecifrabili, definitivamente cariche di una potenza sconosciuta.
Poi il vento d’un tratto si placherà lasciando a terra e intorno tutto il resto. E ti ritroverai spogliato di tutto ciò che a Palermo non ti servirà. Ti accorgerai poi camminando che non avrai altro che le tue mani per toccare, capire e sentire la città.
In una mano avrai l’estasi, nell’altra il turbamento.