I colori mi accecano, il cielo è così limpido da risultare trasparente, vuoto, il vento si infila tra gli alberi di fico, fra le vigne che di tanto in tanto si incrociano lungo il cammino, tra i fiori colorati che costeggiano la passeggiata, fra la vegetazione ricca e selvaggia che spinge ai lati del sentiero. Intorno a me solo natura e mare. Una forza sfrontata e assoluta mi circonda, il blu mi inghiotte e la felicità prende forma. Passeggiare tra i graziosi vicoli del paesino per poi proseguire nei sentieri sterrati e immersi nella vegetazione più selvaggia, è un vero e proprio viaggio. La dolcezza e mitezza dei paesani, i suoni delle strade e delle botteghe del paese, un po’ ovattati dal vento, sono una mano lieve che mi spinge dolcemente verso il silenzio delle scogliere, sul versante ovest dell’Isola.
L’Isola di Santo Stefano e il carcere Borbonico
La piccola Isola di Santo Stefano, con i suoi circa cinquecento metri di diametro, si trova due chilometri a est di Ventotene. L’unico edificio presente è il Carcere Borbonico, una struttura penitenziaria costruita nel 1796 e in disuso dal 1965. Voluta dal Governo Borbonico, la struttura segue i princìpi del Panoptico, secondo cui i detenuti potevano essere osservati e sorvegliati da un guardiano situato in un corpo centrale che permetteva la visione totale di tutte le singole celle disposte a semicerchio. A sostenere tale disposizione architettonica era il principio secondo cui attraverso il costante controllo i detenuti venivano dissuasi dal compiere atti contrari alle regole. Il carcere ospitava criminali comuni e speciali, che dovevano essere allontanati e separati dalla società. Durante il ventennio fascista, qui vennero incarcerati dissidenti politici e antifascisti. Vi fu rinchiuso, tra gli altri, Sandro Pertini, che con queste parole fermò la memoria della prigionìa.
“La sveglia suona: è l’alba. Dal mare giunge un canto d’amore, da lontano il suono delle campane di Ventotene. Dalla “bocca di lupo” guardo il cielo, azzurro come non mai, senza una nuvola, e d’improvviso un soffio di vento mi investe, denso di profumo dei fiori sbocciati durante la notte. Ricado sul mio giaciglio. Acuto, doloroso, mi batte nelle vene il rimpianto della mia giovinezza che giorno per giorno, tra queste mura, si spegne. La volontà lotta contro il doloroso smarrimento. È un attimo: mi rialzo, mi getto l’acqua gelida sul viso. Lo smarrimento è vinto, la solita vita riprende: rifare il letto, pulire la cella, far ginnastica, leggere, studiare” .